Il bullismo online è reale, come la vita
Una ragazza britannica è stata condannata a tre mesi di detenzione, dopo essere stata riconosciuta colpevole di "bullismo online". Per quanto il reato non sia ancora del tutto definito, in molti paesi, la decisione del giudice di Manchester conferma una tendenza sempre più chiara: la vita online presuppone le stesse responsabilità e gli stessi doveri, di quella offline.
Di fatto, sarebbe ora di iniziare a pensare che la differenza sia un costrutto del tutto aleatorio, e che ci sia una sola vita, con diversi elementi. È lo stesso principio che ha portato la Corte Suprema statunitense a obbligare Google a rendere pubblica l'identità di una blogger che aveva insultato pubblicamente una modella di New York, che si era risentita e aveva sporto denuncia, come ha raccontato anche Repubblica.
Keeley Houghton – Clicca per ingrandire
Nel caso di Keeley Houghton, la ragazza inglese, il mezzo usato è invece Facebook: sulla sua pagina l'accusata aveva minacciato di morte l'ex compagna di scuola Emily Moore, con un'azione intimidatoria e aggressiva che ne seguiva altre più dirette a scuola e in locali pubblici.
Entrambe le sentenze rappresentano un segnale molto importante, che speriamo sarà raccolto quanto prima. Una rete dove tutti si comportano con responsabilità e civiltà, infatti, non è solo una rete più gradevole per tutti; ci sarebbero anche meno scuse per creare norme e leggi restrittive e censorie, che non piacciono quasi a nessuno, se non a chi le scrive.
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