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Il sistema politico alla prova dei social-media: il tweet per conquistare consenso

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Il sistema politico alla prova dei social-media: il tweet per conquistare consenso

di Redazione Diritto dell’Informatica sabato 2 Novembre 2019 9:00
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Stravolgendo l’immagine tradizionale dei “palazzi del potere”, i social-media hanno permesso un confronto diretto tra votanti e votati. A volte una rivoluzione entusiasmante, altre aberrazione della nobile dialettica politica, dovuta alla costante (e dirompente) diffusione dei social network.

Il Politico-Influencer: dalla radio ai tweet

Che la politica (o il politico) sfrutti a pieno le potenzialità dei media non è cosa esclusiva dei nostri tempi. Negli anni venti fu la radio a superare la “fisicità” di candidati ed eletti, migrati verso le sale radiofoniche, da cui poter raggiungere dal retro di un microfono le case degli elettori. La percezione sociale cambiò radicalmente: i politici diventarono amabili e intelligenti conversatori da salotto (memorabili i discorsi di Franklin Delano Roosvelt di fianco al caminetto).

Con il boom economico vi fu il primato della televisione, la quale restituì fisicità (astratta) agli esponenti politici che da “vecchi saggi” radiofonici si trasformarono in eleganti e sorridenti uomini di bella presenza. La mimica o, ancora più banalmente, l’abbigliamento, distinguevano il politico divenendo, a seconda dei casi, motivo di rassicurazione o di sfiducia.

L’avvento delle nuove tecnologie ha cambiato ancora una volta il volto della politica. Attraverso i social media, il politico diventa icona pop (influencer secondo alcuni) o bersaglio quotidiano di haters e competitors. In qualche modo si potrebbe intravedere un ritorno all’epoca pre-radiofonica, quella degli “animali da piazza”: come allora, nel grande spazio della Rete convince chi urla lo slogan più “accalappialike”.

Così, si potrebbe persino giungere a ravvisare nelle piattaforme social quelle forme associative riconosciute nella Carta costituzionale (art. 49), atteso che le stesse garantiscono una maggiore partecipazione della comunità all’ordinamento democratico e un assiduo ed intenso confronto tra cittadini e rappresentanti. Non è ad esempio insolito ai tempi odierni che un singolo parlamentare riveda la propria posizione politica dopo esser stato tempestato di tweet di contestazione.

Una propaganda fatta di like: quali rischi per il diritto alla partecipazione politica?

Tuttavia, quella che apparentemente è proiezione di partecipazione politica soddisfa solo parzialmente il buon funzionamento del processo democratico.

I social network, celandosi dietro le proprie policy aziendali, accumulano un insieme di dati potenzialmente utilizzabili per influenzare e gestire il consenso.

A questo, si aggiunga l’incertezza su quale sia il fine di utilizzo da parte del sistema politico di questi nuovi media: è la Politica, interessata al consolidamento del potere, ad aver “sottomesso” tali strumenti o, al contrario, è la medesima ad aver ceduto la propria centralità in favore di altri agenti? In sostanza, le nuove tecnologie favoriscono davvero la partecipazione democratica di massa dei cittadini o sono un semplice mezzo utilizzabile (distortamente) al solo intento di vincere le competizioni elettorali? Può il concetto di leader quale guida di una comunità tradursi in mero influencer di una community social?

Le (infruttuose) iniziative regolatorie

Da un punto di vista normativo, sussistono diverse criticità. Infatti, seppur negli ordinamenti moderni si conoscano normative che disciplinano le campagne/propagande elettorali, tali regole vengono spesso messe in discussione dal quotidiano atteggiarsi della comunicazione sui Social Network.

In tal senso, si possono menzionare le modifiche al Regolamento UE 1141/2014 con le quali si sono introdotte sanzioni per quei partiti che profilano indebitamente i dati dei cittadini a scopo elettorale, o il tentativo dell’AGCOM – in occasione delle elezioni parlamentari europee del 2019 – di imporre regole elettorali anche sulle piattaforme online. Di fatto, però, le più note piattaforme social sembrano rimanere inerti dinanzi alle possibili strumentalizzazioni di un delicato e fondamentale momento di democrazia quali sono le campagne/propagande elettorali.

Tra l’altro, anche i più recenti tentativi di riforma orientati verso un sistema di co-regolamentazione dei contenuti online affidato ai Provider (v. Delibera n. 157/19/CONS) non sono immuni da criticità.

Una delle più note Piattaforme social, ad esempio, ha di recente comunicato che i post dei vari esponenti politici verranno esclusi da meccanismi di fact-checking, in quanto – secondo il Social Network – da considerarsi di interesse pubblico anche se successivamente rivelatisi completamente infondati (fatta eccezione, ovviamente, per quei contenuti lesivi di specifici interessi o volti all’incitamento della violenza). Parallelamente, la stessa Piattaforma ha attuato una poco condivisibile privatizzazione della censura; infatti, vietando una serie di hate speech, ha altresì censurato erroneamente alcune pagine satiriche. Tutto questo è conseguenza di un tentativo di moderazione che spesso non distingue i contenuti illeciti da quella di satira e critica politica.

Quale futuro per la partecipazione politica?

Appare dunque auspicabile una maggiore responsabilizzazione delle piattaforme social. A tal proposito, deve menzionarsi la recente “Petizione per l’uso responsabile dei social da parte della classe politica” finalizzata all’assunzione di un impegno formale da parte dei membri del Governo. Ad iniziative simili, debbono essere accompagnate campagne di sensibilizzazione sui profili “social” della società così da contrastare quei meccanismi di convincimento occulto che possono alterare (peggio, determinare) il consenso politico.

Intervenire significa quindi arginare l’avanzata di una “dittatura” tecnologica dalle pericolose conseguenze, onde evitare di perdere – senza un reale presa di coscienza – la libertà di poter scegliere i propri rappresentanti.

di Redazione Diritto dell’Informatica
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