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Obama, un paladino della privacy contro Apple e gli altri

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Obama, un paladino della privacy contro Apple e gli altri

di Valerio Porcu venerdì 24 Febbraio 2012 11:35
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Barack Obama ha deciso di mettere mano alla privacy online, e di creare un codice di condotta per aziende come Facebook, Apple, Twitter, Microsoft e altri che possa dare agli utenti la migliore sicurezza, e allo stesso tempo evitare che la questione della privacy diventi un ostacolo all’innovazione e al miglioramento dei servizi. Un obiettivo tutt’altro che semplice da raggiungere.

In futuro quindi la FTC avrà delle regole su cui basarsi per dire alle aziende come comportarsi, ed eventualmente sanzionare chi sbaglia. Le aziende a loro volta avranno limiti precisi entro cui muoversi: cose come il controllo dei dati da parte degli utenti, la trasparenza sulle attività , la sicurezza, la possibilità di accedere alle informazioni e correggerle, la responsabilità da parte delle imprese in caso di violazioni.

Obama si destreggia per leggere la posta in mezzo ai banner

Qualcuno avrà pensato che le norme proposte da Obama porterebbero le politiche sulla privacy statunitensi più vicine a quanto abbiamo e avremo in Europa, dove storicamente c’è più attenzione a questo argomento – tanto che in passato si è persino parlato di obbligare le aziende a usare server in territorio europeo per garantire il rispetto della normativa. Nel Vecchio Continente si parla anche di diritto all’oblio digitale, un argomento che in altri luoghi del mondo potrebbe suonare con un’assurdità incomprensibile.

Di certo qualcosa sta cambiano se Google, Apple, Microsoft e Mozilla hanno accettato di aggiungere ai rispettivi browser il pulsante do not track (non tracciare). Premendolo l’utente potrà evitare che le proprie attività online siano monitorate, in modo simile a quanto accade con la modalità “in incognito” offerta già da Chrome e Firefox. Il nuovo pulsante invece non dovrebbe influenzare le attività di Facebook.

Di certo non mancano le ragioni per prendere la privacy con la massima serietà . Solo recentemente abbiamo raccontato di come gli utenti di Safari Mobile e Internet Explorer si siano visti “spiati” da Google e Facebook, di come le applicazioni per iPhone sbircino nella lista di contatti, e gli esempi potrebbero continuare a lungo.

La lista di violazioni più o meno gravi non ha mai smesso di allungarsi negli ultimi anni, così come la discussione sulla questione. Da una parte abbiamo l’economia della pubblicità online, un giro d’affari da miliardi di dollari che dipende pesantemente dalla possibilità di tracciare l’utente: se Google e Facebook non potessero farlo i loro fatturati ne risentirebbero pesantemente. In teoria però non c’è nulla di male nel far sapere ai pubblicitari che cosa ci piace, anzi è un buon modo per evitare di vedere annunci che non ci piacciono.

Ah, l’hanno messo quel bottone? Ma dai, e pensare che era una battuta!

Dall’altra parte però c’è l’abuso, che non si ferma a un’applicazione che copia la rubrica dei contatti e la salva su un server. Sarebbe già grave, ma che dire di casi – verificatisi proprio negli Stati Uniti – di consumatori che si sono visti negare un prestito perché hanno speso denaro in luoghi apprezzati da molti cattivi pagatori? Cosa pensare di un’assicurazione che non accetta un guidatore perché online ha mostrato di apprezzare le auto sportive? Insomma, si tratta soprattutto di pubblicità , ma non solo di quella.

A questo punto bisogna capire quanto è fondamentale l’accesso ai dati personali, e quanto una regolamentazione più o meno restrittiva possa davvero “compromettere l’innovazione online” come sostengono alcuni. I passi avanti per tutelare i consumatori ci sono stati e ci saranno, e chi proprio non può liberarsi dalla paranoia può sempre usare TOR – ma attenzione perché l’FBI potrebbe accusarvi di terrorismo, e lo stesso vale per chi paga il caffè in contanti.

di Valerio Porcu
venerdì 24 Febbraio 2012 11:35
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